Ritratti dell’amore al femminile – dalla conferenza di Procida del 16.3.24 “Ben-essere donna”
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Ritratti dell’amore al femminile – dalla conferenza di Procida del 16.3.24 “Ben-essere donna”
Si parla dell’essere della donna, e noi qui vogliamo parlare di come l’amore può mettere le donne nei pasticci con l’altro, con se stessa, con il proprio corpo. L’amore, come ben sappiamo può essere la causa della sofferenza.
Ma dunque per parlare di come l’amore può far soffrire una donna, dobbiamo un attimo accostarci alla questione dell’amore, e a quella dell’essere delle donne, al modo di essere delle donne nell’amore.
Per Freud l’amore è essenzialmente narcisistico: amo nell’altro la rappresentazione ideale di ciò che vorrei essere
L’amore così inteso è, in fondo, amore di sé. Ti amo perché sei quello che vorrei essere, ma attenzione, perché nella misura in cui non lo sono, ti odio. L’oscillazione tra erotizzazione e aggressività caratterizza l’amore narcisistico. L’amore in questa accezione è un’illusione, è come stare davanti ad uno specchio, alternando idealizzazione e svalutazione.
Per Jacques Lacan, è vero come dice Freud che esiste un amore narcisistico, ma non è tutto.
C’è un seminario straordinario, il XX del suo insegnamento, intitolato Ancora, che mette sotto torchio Freud rivalutando il destino dell’amore, andando al di là del narcisismo. Per Lacan occorre interrogarci sulla possibilità che esista un nuovo amore.
Nella sua idea l’amore è una frattura, contrariamente al mito platonico del ritrovamento della metà perduta: sono diviso nell’amore, perché senza l’altro la mia vita si perde. È tutto sommato una condizione strutturale dell’essere umano, che fin alla nascita, per esempio, senza l’amore della madre, sarebbe perduto.
Quando si ama qualcuno, dice Lacan, si ama tutto, non solo l’immagine, le caratteristiche, o ciò che ci colpisce. Tutto, le sue manie, le sue bizzarrie, fino agli elementi scabrosi e detestabili. L’amore in questo senso è amore per la particolarità dell’altro.
Ma attenzione, non è che posso deciderlo: ok, ora lo so, torno a casa, da mia moglie, da mio marito, e comincio ad amare tutto. No, io sono preso dall’amore, accade così, non posso farci niente.
Cosa domanda l’amore ? L’amore domanda l’amore scrive Lacan. Non domanda ciò che l’Altro ha, ma domanda il segno della mancanza dell’Altro.
Vuol dire che la domanda d’amore scaturisce da una faglia, cioè da una mancanza, domanda di mancare all’Altro. Ne sussegue che amare è, come scrive Lacan, donare all’altro ciò che non si ha.
Ma questo implica che nell’amore ci sia un muro, giocando con le parole Lacan scrive che l’amour è un a-muro, e aggiunge “Tra l’uomo e la donna c’è l’amore, tra l’uomo e l’amore c’è un mondo, e tra l’uomo e il mondo c’è un muro”. Il muro in questione è il muro del linguaggio. Il linguaggio è un muro nel senso che è una struttura di separazione. L’esistenza del linguaggio separa cioè il soggetto dal corpo da cui viene, direbbe Freud dal luogo del godimento incestuoso. Basti pensare che nominare il proprio bambino in grembo, nel discorso, gli attribuisce uno statuto di soggetto. Anche se non ancora nato, il piccolo Giovanni, la piccola Maria, esistono, al di là del corpo che li ospita in attesa di venire al mondo. Esistono nel senso che non sono un tutt’uno, nel discorso, con quel corpo che li ospita.
L’esperienza dell’amore implica dunque una separazione. Secondo Lacan la tendenza nei sentimenti è certamente anche quella della specularità, ma questo amore, freudianamente inteso, è un amore in cui ciò che conta non è l’Altro, ma l’Uno, la fusione. Per certi versi l’amore è l’illusione del fare Uno, ma questa illusione è solo la degradazione narcisistica dell’amore.
“Ancora” significa che la domanda d’amore è una domanda infinita. Spesso le donne manifestano il carattere infinito della domanda d’amore, e infatti molte volte un’analisi per un uomo può rendere possibile la sopportazione del carattere infinito della domanda d’amore, che tutto sommato consente loro di saper meglio amare una donna. Questo infinito nella domanda d’amore è strutturale, l’amore non si soddisfa mai una volta per tutte, non c’è un “ti amo” che garantisca che quel ti amo sia per sempre.
Lacan non si ferma alla questione della domanda d’amore, dunque al rivolgersi all’altro, e riconosce, con Freud, che nell’amore è implicato qualcosa di più, qualcosa che attiene necessariamente al corpo. Gioca sull’assonanza in francese tra encore e en-corps (pag.6). Vuol dire che l’amore implica che davanti a noi ci sia un corpo. Innanzitutto un corpo. Questo significa che oltre al linguaggio, oltre all’altro, nell’amore è implicata la pulsione, ossia il godimento. E il godimento attiene al corpo: il problema – dice Lacan – è come congiungere la dialettica della domanda d’amore (che è apertura, esternalizzazione, rivolgimento all’altro) con il campo chiuso del godimento, del corpo proprio, che mira a soddisfare la sua pulsione.
Come si articola la domanda d’amore con il godimento sessuale se la domanda d’amore ruota attorno al segno (dicevamo l’amore domanda all’altro il segno della sua mancanza) mentre il godimento ruota attorno al corpo, all’uno al di là dell’altro?
Come si possono conciliare queste due polarità?
Nel film di Margherita Hack, di inizio mese, vediamo un ritratto, al femminile , di come potremmo inquadrare questo amore di cui parla Lacan .
Per tutta la vita ha avuto da posizionarsi in confronto e in rivalità con le decine di padri padroni che svalutavano qualsiasi parola proveniente da un corpo femminile, e nel corso della sua carriera non fa altro che tentare, con successo fortunatamente, di mostrare di avercelo più lungo degli uomini dai quali era costretta a farsi rispettare. Ama un uomo che è tutt’altro che fallico, malaticcio, poco maschio, “facciamo la marita e il moglio” – scherzavano tra di loro. Una donna con quegli attributi, considerando il patriarcato indiscusso dell’epoca, poteva amare solo uno che ce l’aveva più piccolo di lei. Non che non sia amore, anzi.
Questo film infatti ci dà anche un ritratto di come un uomo possa amare in modo inedito una donna.
Quest’uomo, per nulla padronale, non si limita a essere gentile o come direbbero i suoi colleghi maschi “femmineo” , ma prende appunti quando lei parla, scrive ciò che lei dice. Le dà un corpo, un corpo fatto di scrittura, di parole. E sono le parole che lei stessa dice. Impara il suo linguaggio, potremmo dire. Questo forse è uno dei ritratti più lucidi di cosa possa voler significare amare una donna: apprenderne la lingua. E di fatti, il resto degli uomini, come i violenti di cui parla molto oggi, vorrebbero, in fin dei conti, strappare la lingua a questa donna, che non osi parlare troppo, che non si permetta di dire, anche e soprattutto se dice la verità.
Ma dov’è che vediamo l’esempio di un amore nuovo, come ce lo illustra Lacan in questo seminario? Lo vediamo quando è presa, al di là di tutto, al di là della competizione, al di là di chi le è intorno, al di là di se stessa, quando si rivolge alle stelle. La Hack, potremmo dire, realizza il suo essere donna quando ama le stelle. Che significa? Che ama un uomo, certo, e in questo è sicuramente una donna. Ma, lo abbiamo visto, è un amore che ruota intorno alla funzione fallica, intorno a ciò che Freud definiva la castrazione: una donna sarebbe colei a cui manca. Il fallo, nell’insegnamento freudiano e lacaniano, non è tanto il pene, come organo, ma è un signficante, un elemento simbolico nell’inconscio che ha la funzione di dire in cosa consiste la differenza tra i sessi. L’essere di una donna può patire questa mancanza del fallo (è ciò che Freud chiamava l’invidia del pene), ma Lacan apre ad una visione inedita della mancanza fallica nel femminile.
Lungi dall’essere un difetto, un meno, la mancanza del fallo apre la donna alla possibilità di un godimento supplementare, non difettoso, e neanche complementare, ma proprio in più. E questo “in più”, secondo Lacan, dice ciò che si è, uno per uno, nella propria particolarità più intima.
Proprio perché non è ingombrata dal fallo (scrive proprio così Lacan, il fallo è un ingombro), può essere più vicina dell’uomo al proprio essere. L’amore per l’uomo castrato, è ancora inserito nell’ambito del registro fallico, non va oltre: amo, narcisisticamente, colui nel quale vedo chi sono io: un uomo mancato, sprovvisto di fallo, e quindi può stare tranquilla, non avrà i soliti drammi del confronto.
Lacan sostiene, a partire da uno scritto, intitolato Lo stordito, che non esiste una universalità della donna. Mentre gli uomini sono uniformati dal primato fallico, da questo ingombro, elemento di instupidimento tipicamente maschile, la performance, la rivalità, il chi ce l’ha più grosso, cose che durano tutta la vita… mentre gli uomini sono uniformati, e dunque tranquillizzati dall’avere il loro fa-pipì, una donna non è mai tutta sotto l’ingombro fallico.
Nell’inconscio il significante fallico diventa operativo dal momento che viene riconosciuta la castrazione, che rende il fallo l’operatore della differenza dei sessi (ce l’ho=uomo, non ce l’ho=donna). Ma è più un essere-non-uomo, potremmo dire. Le donne, scrive Lacan ne Lo stordito, sono invece dell’ordine del non-tutto. Non-tutta sotto il registro fallico, significa che lo supera, che eccede il limite che un uomo ha a godere, nella sessualità per esempio, con quello strumento lì. Significa che a partire dalla circoscrizione degli esseri come coloro che ce l’hanno o non ce l’hanno, la sessuazione femminile (Lacan la chiama così per indicare che non è una questione di anatomia, ma di posizione soggettiva inconscia), deborda, è al di là.
Questo significa che se l’uomo è uniformabile, proprio perché tutti gli uomini ce l’hanno, per le donne, proprio perché ne mancano, al di là del fallo, sono sempre una-per-una, e non c’è niente che possa uniformare le donne, in questo al di là del fallo. Da qui, il famoso aforisma di Lacan, la donna non esiste. Esistono le donne, una per una.
L’amore per le stelle, è un ritratto cardinale dell’amore che solo l’apertura al femminile può consentire: le stelle sono sempre là, sono sempre le stesse presumibilmente, sono lì, ferme, immobili, si vede se ci fate caso nelle varie scene in cui guarda al telescopio che sono sempre quelle due stelle lì in primo piano….eppure lei ogni volta che le va a guardare trova qualcos’altro, qualcosa che le consente di scrivere ogni volta qualcosa di nuovo. È presa da una necessità, per lei è necessario farlo, è più forte di lei: l’incontro con le stelle, fin dalla prima volta che guarda al telescopio, la coglie nella sua mancanza, “è la cosa più bella che abbia visto in vita mia”, dice Margherita quella prima volta.
La necessità, scriveva Lacan, è ciò che non cessa di scriversi. Ecco cosa ci insegna questo film, che una versione dell’amore è quello caratterizzato dal sentimento della necessità. La contingenza incontra la necessità: nell’uno , nello stesso, si incontra, ogni volta, altro.
Questa necessità è causata, da un impossibile: non si può dire tutto sull’universo. E quando si è davanti all’impossibile, una donna può essere presa dalla necessità di continuare a scriverne qualcosa. Non posso smettere di pensare a lui, di andare da lui, non posso smettere, anche se sono offesa, violentata, maltrattata diremmo oggi, non posso smettere, ancora…
Non si è mai così deboli come quando si ama, scriveva Freud, intendendo proprio che si è deboli nei confronti di qualcosa che ci anima, dentro noi stessi, e non ci si può fare un bel niente! Non si può decidere di amare o di non amare facendosi due calcoli. Si ama, e non si sa perché. Al massimo si sa perché sarebbe il caso di non amare.
Lacan va oltre Freud ancora più radicalmente. L’oggetto della pulsione, cioè il destinatario del desiderio, l’uomo, la donna, come delinea bene Freud nello scritto “Pulsioni e loro destini”, è la cosa che meno conta. La pulsione si soddisfa, punto, e l’oggetto è solo ciò intorno a cui essa fa il giro per soddisfarsi, il chi, il che cosa, è intercambiabile. L’amore, in questo senso, in quanto realizzazione di un desiderio pulsionale, sarebbe un cinico rivolgimento a chiunque, che semplicemente fa funzione di oggetto attraverso il quale soddisfarsi. Nell’amore delineato da Lacan, invece, l’oggetto diventa insostituibile nella sua singolarità, scrive “l’amore è amore per il Nome proprio”. Ecco perché l’amore ha a che fare col trovare il nuovo nello stesso.
Interrogherei adesso due ritratti della sofferenza al femminile, relativa al campo dell’amore. La violenza e l’anoressia.
Partirei da una notizia recente, ed estremamente importante dal punto di vista storico e sociale: in Francia l’aborto è adesso nella costituzione.
Ebbene una cosa del genere può sconvolgere: come può una donna non voler essere madre? Il fantasma maschile che tenta di dare un posto limitato, preciso, alla donna, viene frantumato quando una donna rifiuta la posizione materna.
Freud ha scoperto che la madre è il primo oggetto d’amore dei bambini, di entrambi i sessi, e — cosa che ha fatto scandalo all’epoca — è anche il loro primo oggetto sessuale. Proprio per questo la madre è l’oggetto proibito, da cui il bambino si deve staccare. Il legame del bambino con la madre resterà comunque per sempre, a livello inconscio, e influenzerà le sue scelte d’oggetto, ovvero le sue scelte d’amore in età adulta. Per la bambina, l’incidenza del suo legame con la madre è ancora più significativo in quanto è dalla madre che la figlia prenderà (o rifiuterà) il modello su come essere madre o donna. Quindi il modello attraverso il quale amerà l’altro, sarà amata dall’altro, e guarderà il suo corpo.
Freud aggiunge che il distacco dalla madre, nel caso della bambina, avviene sempre all’insegna dell’ostilità e spesso si risolve in varie forme di rancore rivolto alla madre, che non ha dato a sufficienza latte, amore, o attenzione, che ha avuto un altro figlio, che si interessava solo al padre, oppure che pensava solo a se stessa. Dietro tali rimproveri, secondo Freud, si nasconde il fatto che “la bambina ritiene la madre responsabile della sua mancanza del fallo e non le perdona questo svantaggio” vale a dire che la bambina deve assumere in qualche modo, quella che Lacan ha definito dapprima la sua “privazione” reale del pene e, in seguito, la sua mancanza, a livello simbolico. Dunque per una donna, sostiene Freud, la via dell’essere madre può essere una soluzione: il bambino, infatti, secondo lui, è un sostituto, un sostituto del fallo che manca, che può quindi venire a tappare la privazione reale. Nei termini di Lacan potremmo dire che la madre è quella che, a partire dalla sua mancanza, opta per un avere, avere il figlio tappa la castrazione. È un’operazione di sostituzione: un elemento viene al posto di un altro. La bambina, compensa il suo “complesso di castrazione” con il desiderio di un bambino.
Questa storia di essere madre, è tutto sommato tranquillizzante per gli uomini, che possono intendere la posizione femminile come quella di un essere mancante, al quale donare un bambino, così da farla stare “quieta”. E dunque una donna, che non si voglia render madre, può creare molti problemi. In fondo, la violenza sulle donne è sempre violenza per ciò che va al di là dell’ingombro fallico.
Nello scritto “Perché la guerra”, del 32, che è un carteggio con Einstein, abbiamo un Freud disilluso che mette in evidenza come il differente potere esercitato nelle società dalle varie categorie (ricchi e poveri, uomini e donne, genitori e figli, ecc) sia alla base delle diseguaglianze; nelle società, il diritto non potrà essere che l’espressione di queste diseguaglianze poiché le leggi sono fatte per e da quelli che comandano.
Ciò produrrà un risentimento, una rabbia, un desiderio di vendetta, da parte di chi non comanda ed è costretto ad ubbidire. È la ribellione al padrone. Chi comanda contro chi è comandato, è l’elemento sociale della violenza.
Ma oltre alla struttura sociale, per Freud l’altro elemento cruciale della violenza è legato all’esistenza di una pulsione di morte, una spinta distruttiva, che si oppone a quella di conservare e unire, che denomina, in un testo intitolato “Al di là del principio di piacere”, pulsione di vita, o eros. L’eros può opporsi alla pulsione di morte, è il primo ostacolo alla violenza.
Il secondo, è l’identificazione, con la sua portata di solidarietà e di sentimenti comuni, alla base delle società umane. Forse proprio l’affievolirsi di questo legame identificatorio può essere una delle varie cause del dilagare dell’odierno razzismo, dell’odio nei confronti del diverso, e perché no, della violenza nei confronti delle donne.
Nel seminario sull’etica, il VII, Lacan estende la portata del discorso sulla violenza prendendo in esame il rapporto tra il soggetto e la legge. Egli afferma che il ruolo della legge nelle istituzioni, di qualunque tipo esse siano, è quello di arginare la pulsione di morte. Possiamo ipotizzare che proprio l’affievolirsi della portata simbolica della legge possa essere in gioco nel dilagare attuale della violenza. Violenza, agita, e subita. Chi subisce la violenza non è meno implicato nel fatto di rigettare la legge rispetto a chi la agisce, qualora ne fornisca i presupposti per rendersene oggetto, per esempio restare attendendo che l’altro goda di lei.
Questa è la portata cruciale dell’insegnamento di Freud e Lacan: il soggetto è sempre responsabile, in qualche modo, della propria sofferenza.
In questo seminario sull’etica, Lacan distingue il piacere dal godimento, indicando che l’essere umano può avanzare senza farsi male nel piacere, ma può farsi molto male se va in ciò Freud chiamava l’al di là del principio di piacere, poiché il godimento è un eccesso, un di più che va oltre il limite del piacere e si direziona verso il dolore. Ne discende che ogni sintomo, ogni forma di sofferenza (di interesse dello psicoanalista intendiamo) porta il marchio scoperto da Freud: la persona soffre ma è invasa da uno strano godimento ripetitivo di cui non può fare a meno.
Il disagio della civiltà attuale è caratterizzato, al contrario dei tempi di Freud, dalla spinta ad un godimento senza limite, che genera spaesamento, e spesso passaggi all’atto di cui l’atto violento ne è l’esempio più evidente: puro atto di godimento. Per la psicoanalisi la violenza non è un sintomo, è pura spinta pulsionale in atto.
Il passaggio della donna da mero oggetto di scambio a soggetto di diritto crea disorientamento, produce nell’uomo inibizione, odio, senso di inferiorità, mettiamoci anche il disagio della civiltà attuale, e tutto questo può dunque tradursi nei passaggi all’atto violenti.
Lacan sostiene che la violenza, l’odio, il disprezzo, si palesano ogni volta che una donna è fuori posto e non si fa trovare là dove un uomo la posizione nel suo fantasma inconscio, non corrisponde potremmo dire.
Ma sul piano del fantasma femminile, è sempre Lacan a dirlo, possono non esserci limiti alle concessioni che una donna può fare a un uomo, del suo corpo, della sua anima, dei suoi beni.
Quindi dell’amore, non è il senso che conta (non esiste per la psicoanalisi un “amore universale, buono, da cui tutti dovrebbero prendere esempio). Nell’amore ciò che conta è il segno. Sta qui tutto il dramma.
Ma il godimento dell’altro non è il segno d’amore.
Dal lato femminile, abbiamo il fantasma del fare uno, il fantasma di un rapporto nel quale perdersi definitivamente (le concessioni di cui parlavamo prima), quello di una pratica di godimento che possa far accadere il rapporto dell’uno con l’altro, che possa cioè rendere possibile l’impossibile: che il corpo dell’uno goda del godimento dell’altro. L’atto violento prova a realizzare il fantasma dell’avvenuto rapporto tra i corpi, un godimento che fa coincidere, nell’incontro dei corpi, il godimento della battitura con il godimento dell’essere battuto, come per la macchina da scrivere: nel momento in cui si scrive la lettera sul foglio, si realizza il fare uno del foglio con la stampatrice.
Ma il godimento dell’altro non è il segno d’amore, dicevamo.
L’amore per Lacan è ciò che può realizzare un’inedita coesistenza tra il godimento e il desiderio dell’altro. Liddove il godimento si soddisfa al di là dell’altro, nel campo del desiderio è l’altro ad essere al centro della questione, e nell’amore è possibile una nuova alleanza tra l’unicità del godimento che caratterizza nel modo più particolare ciascuno di noi, uno per uno appunto, e il legame con l’altro. Questo uno per uno, significa che l’amore come concetto universale non può esistere per la psicoanalisi, dal momento che presuppone il godimento del corpo, del corpo unico di ognuno.
Il godimento non è il segno d’amore, che significa. Che l’amore si soddisfa attraverso il legame con l’altro, con la mancanza dell’altro .
Quando il soggetto ha un dubbio su questo segno d’amore, quando c’è un dubbio sull’amore dell’altro, può accadere che la soddisfazione del desiderio amoroso si schiacci sul piano del godimento, come nel caso, che qui utilizzo come esempio per il nostro discorso, dei disturbi alimentari, dove abbiamo in evidenza un godimento del corpo al di là di ogni razionalità, nel carattere compulsivo della bulimia, o nella dimensione cosiddetta egosintonica dell’anoressia. Cosa ci insegnano i disturbi alimentari, e in particolare la logica dell’anoressia?
Che mentre il godimento esige la ripetizione dello stesso, dell’un godimento, dello stesso godimento, l’amore invece domanda il segno della mancanza dell’altro.
Il dubbio sull’amore dell’altro sposta il soggetto dal rapporto con l’oggetto-segno (d’amore) all’oggetto-seno, il cosiddetto oggetto orale, che nell’anoressia assume uno statuto speciale, oggetto-niente. L’anoressica, scrive Lacan, mangia niente, non ho detto “non mangia niente”, ma proprio mangia niente.
Ma perché? Perché il dubbio sull’amore può provocare una messa in discussione radicale del rapporto con il desiderio dell’altro.
Il corpo dell’anoressica diventa un corpo-muro, il corpo viene rifiutato perché è esso stesso un Altro che si oppone alla volontà di dominio della coscienza, rifiutato soprattutto in quanto corpo sessuale, ovvero diviso dalla castrazione simbolica in maschile o femminile.
L’anoressia non tollera la divisione, vuol preservare l’Uno, gode dell’indivisibile, dell’indistruttibile, dell’oggetto niente, che è invisibile, e dunque mai del tutto consumabile, dell’osso che essa stessa vuol essere così da non scoprire mai il cambiamento del corpo. La castrazione simbolica, al momento della pubertà, implica il lutto del corpo infantile, che l’anoressia tenta invece di preservare, rigettando la la differenza dei sessi (il corpo anoressico è un corpo che rigetta la femminilità ), così da non divenire corpo del godimento dell’Altro. Il rifiuto è una difesa. Ma questo rifiuto anoressico è anche una domanda che il soggetto fa all’Altro chiedendo non qualcosa che l’Altro ha (il cibo), ma qualcosa che l’Altro non ha (l’amore, il desiderio):
sono io solo un tubo da riempire, o sono un essere che tu ami? Posso io mancarti? Soffriresti della mia perdita? È la questione che il sintomo anoressico rivolge all’altro.
E non è un caso che l’anoressia sia particolarmente femminile: la domanda d’amore in una donna può essere infinita, dicevamo prima, così come infinita può essere la sua messa in questione, si riduce all’osso per scoprire nello sguardo dell’altro l’angoscia che provoca il fantasma della sua perdita. È una di quelle concessioni infinite che una donna può fare all’altro dell’amore. Una concessione infinita, senza sosta, continuamente riprodotta in ogni assenza dalla tavola, della sua sparizione. Concessione infinita della sua sparizione. Ancora, ogni volta, di nuovo, lei non c’è.
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