Ipocondria

L’ipocondria è comunemente intesa come una paura eccessiva di avere o sviluppare una malattia, al di là delle considerazioni rassicuranti che la medicina può rivolgere al soggetto che ne soffre.

Non si tratta di un timore vago di soffrire di una patologia (o di più patologie), o della tendenza a preoccuparsi per la propria salute, bensì della certezza, che può svilupparsi soprattutto nei momenti acuti di angoscia, di avere una malattia, un sintomo, un disturbo, un danno al corpo, per lo più insostenibile, poiché può condurre alla morte o al danneggiamento permanente di qualche “pezzo” di corpo. 

Rivolgendosi di frequente alla scienza medica, il soggetto ipocondriaco trova spesso delle disconferme alla sua certezza (la risposta medica più frequente è “lei non ha niente”),  oppure, peggio ancora, può precipitarsi in cure farmacologiche o addirittura ricoveri, che non placano, se non per breve tempo, questa certezza. Si placa, lì per lì, ma poi torna, o attraverso l’idea della stessa malattia, o ritrovandosi certo di averne un’altra differente da quella trattata in precedenza.  

Dal momento che il sapere medico (la diagnosi “incoraggiante”, il “non hai niente”) non ha che un effetto temporaneo sul soggetto (o non ha proprio alcun effetto), chi ne soffre può sviluppare la credenza di essere l’unico ad aver capito che cosa sta accadendo veramente al proprio corpo.

Nelle parole di Jaques Lacan, possiamo trovare il punto cardine della sofferenza ipocondriaca: l’ipocondria è non fidarsi del corpo e vederlo come un nemico

Il corpo “nemico” è il godimento capriccioso, “silenzioso” direbbe Freud, del corpo che non invia alcun messaggio, e lascia il soggetto nel pericolo permanenete di incontrare ciò che di questo corpo si può far sentire.

Per es. il mal di gola può essere un messaggio del corpo, per il soggetto, che indica il fatto di avere l’influenza. E’ il comune modo di interpretare i segnali del corpo. Nell’ipocondria abbiamo invece a che fare con un corpo che non lancia messaggi, ma è piuttosto il soggetto che cerca insistentemente di difendersi da questo silenzio del corpo, provando a interpretare ogni minimo segnale come sintomo di un’entità riconoscibile nel campo del sapere dell’Altro. Ovvero nel campo del sapere medico. Campo che concede un sollievo a breve termine, una sorta di “droga”, anestetico usato contro l’incessare dei pensieri sulla malattia del corpo, che non lasciano in pace il soggetto. 

E’ come se il soggetto cercasse un riferimento esterno a sé, per tentare di placare un vissuto che non ci si toglie mai del tutto di dosso.

 Sarà cruciale nella direzione della cura, intendere se il vissuto ipocondriaco sia una modalità di evitare il desiderio, ossia uno schiacciamento del desiderio ad un danno immaginario che immobilizza il soggetto e non gli consente di viversi una vita soddisfacente, oppure se la questione ha a che fare con una difesa da un godimento ingestibile. In quest’ultimo caso, l’ipocondria consente una localizzazione sull’organo del corpo identificato come malato, di un godimento che altrimenti deborderebbe, invadendo il soggetto, con l’effetto di provocare uno scompenso ancora più grave. E’ la funzione “soluzione” del sintomo ipocondriaco, che difende da una sofferenza che sarebbe ancora più grande. 

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